Shabbàt

Il giorno che dà senso a tutti gli altri

Rabbinato centrale Milano
SH-Parashòt

Beshallàch-Shirà 5773

Hashavua

“E le mani di Moshè erano pesanti; Aharòn e Chur presero una pietra, gliela misero sotto e lui vi si sedette sopra. Aharòn e Chur sostennero le sue mani, uno da un lato e uno dall’altro …” (Shemòt 17, 12).

Il Grande Admòr Rabbì Israel Alter di Gur, conosciuto come Bet Israel spiega perché Moshè si mise a sedere. La Ghemarà nel trattato di Shabbàt (92a) ci dice che l’altezza di Moshè era di 10 ammòt – 10 cubiti. Se Moshè fosse rimasto in piedi, sarebbe stato impossibile per Aharòn e Chur supportargli le braccia. Quindi lo mettono a sedere su di un masso. La Ghemarà in Taànìt (11a) si domanda perché Moshè sceglie di sedersi su una dura pietra invece che su un morbido cuscino. Moshè disse: “Fino a che il popolo d’Israele è in sofferenza anche io soffrirò”. Da questo impariamo che chiunque assume su se stesso il dolore dello tzibbur – il pubblico, meriterà di vedere la consolazione di questo.

Dalla newsletter Hashavua del Rabbinato Centrale Milano

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