Shabbàt

Il giorno che dà senso a tutti gli altri

Rabbinato centrale Milano
SH-Pensiero

Shabbat e teshuvà (Haazinu 5759)

Jonathan Pacifici – www.torah.it

Teshuva

“Con l’offerta di Musaf di Shabbat,[i Leviti] che [inno] dicevano? Disse Rav Anan bar Ravà a nome di Rav: ‘[I sei brani della Torà riassunti nell’acrostico] HaZYV LaCH’” (TB Rosh Hashanà 31a)

Quando esisteva il Santuario il servizio quotidiano ruotava attorno alla presentazione dei due ‘Temidin’, ossia le due offerte perpetue della mattina e del pomeriggio. Sebbene l’esecuzione materiale dell’offerta fosse prerogativa dei Coanim, la cerimonia si rivelava un momento di coesione per tutto il popolo.

Era infatti necessario che ci fossero dei rappresentanti del popolo che presenziassero all’offerta (esistevano dei turni specifici per tutta la popolazione) come anche la presenza dei Leviti che da un apposita pedana situata al limite est del cortile interno del Santuario recitavano un apposito inno (in genere un Salmo) nel momento in cui veniva offerta la libagione di vino che accompagnava il Tamid. Nell’impossibilità materiale di presentare le offerte nel Santuario noi ripariamo sostituendo le nostre preghiere. Per questo motivo infatti, nelle nostre ‘tefillot’ recitiamo anche il Salmo che i Leviti avrebbero cantato se fosse esistito il Santuario.

La lista dei Salmi del giorno, che coincide con quelli che recitiamo oggi, si trova nel Talmud (TB Rosh Hashanà 31a). Nello stesso passo troviamo indicazioni circa il brano che veniva letto durante l’offerta del Musaf di Shabbat, l’offerta aggiuntiva dello Shabbat. Si tratta della Cantica di Haazinu, ossia le prime sei chiamate della nostra Parashà (tutta la parte in versi poetici). Il Talmud la chiama “HaZYV LaCH”, facendo un acrostico delle prime lettere dei sei brani in cui viene divisa la Cantica. Ogni Shabbat si leggeva uno di questi sei brani, completando tutta la Cantica in un ciclo di sei Shabbatot.

Curioso il fatto che mentre per i Salmi che accompagnano il Tamid il Talmud stesso dichiara il nesso logico che li lega al giorno della settimana, nulla viene detto circa il legame tra la Cantica di Haazinu e lo Shabbat.

Maharshà ci offre una serie di interessanti spunti:

Il Musaf dello Shabbat è accompagnato da un brano della Torà mentre in genere il Tamid è accompagnato da Salmi. Questo perché lo Shabbat èù un giorno più santo degli altri. “HaZYV LaCH”, l’acrostico mnemonico con cui il Talmud chiama la Cantica di Haazinu significa anche “a Te lo splendore”. La faccia di Moshè, che ha insegnato questa Cantica, era perennemente illuminata da quando egli aveva parlato con la Divinità. In quello che è il testamento spirituale del grande Maestro troviamo una solenne affermazione incastonata nei “capoversi” del testo: “a Te lo splendore”. Come a dire che tutta l’opera di Moshè e tutto il suo onore non derivano altro che dalla Divinità.

A pronunciarsi chiaramente sul nesso tra Shabbat e Haazinu è invece il Rambam (cfr. S.A. Orach Chaym 428.5 e commenti) che dice che il motivo è nel fatto che ‘sono parole che invitano la gente a fare teshuva’.

Dunque mentre il Tamid viene accompagnato da un Salmo che sottolinea la specificità del giorno in questione nell’Opera della Creazione, lo Shabbat sembra avere tutt’altri messaggi. Già con il Tamid della mattina viene letto il Salmo 92 che poco ha a che fare con il riposo sabbatico: tratta invece della redenzione e del rapporto tra bene e male. La tradizione vuole che l’autore sia Adam che lo compose allorché D-o accettò la sua Teshuvà all’ingresso del primo Shabbat. Adam si era pentito di aver trasgredito la sua unica mizvà ed il Signore aveva accettato la sua Teshuvà. Come segno di ciò Egli aveva illuminato l’intero Shabbat, notte e giorno, con la luce primordiale del “giorno uno” (yom echad) della Creazione. Tale luce, che era stata riposta per i giusti nel Mondo Futuro, non solo diviene il premio di coloro che fanno Teshuvà (perché superiori ai Giusti completi, TB Berachot 34b), ma si rivela ancora oggi nella “Neshamà Yetera’”, “l’Anima Aggiuntiva” che accompagna l’ebreo durante lo Shabbat. (Sfat Emet, Likutim Vayelech) A Musaf poi, il momento che dal punto di vista strettamente tecnico distingue il Servizio nel Santuario dello Shabbat rispetto al giorno feriale, secondo il Rambam il messaggio centrale à la Teshuvà, e per questo leggiamo la Cantica di Haazinu che ci deve instradare in tal senso.

Se i sei giorni sono centrati sull’esplosione dell’Opera Creativa del Signore e poi dell’uomo, lo Shabbat è il giorno della Teshuvàè, del ritorno a D-o, della risposta. Se nei Sei giorni della Creazione il movimento è centrifugo, nello Shabbat Iddio, l’uomo ed il creato si fermano per tornare a ciò che ha preceduto la Creazione: l’idea dello Shabbat. Nel ‘Lechà Dodi’’ lo chiamiamo la “fine dell’opera, che nel pensiero era l’inizio”. Lo Shabbat èquel momento in cui noi ci asteniamo dal lavoro, persino D-o si èastenuto dal lavoro. Shabbat èil momento in cui torniamo nell’attimo della Creazione per capire che la materia nella quale ci siamo affaticati per tutta la settimana non è altro che un mezzo per raggiungere tutti quei valori spirituali raccolti nello Shabbat che sono lo scopo principale della Creazione.

Non solo lo Shabbat precede la Creazione, ma anche la Teshuvà! (TB Pesachim 54b). La Teshuvà è la premessa per l’esistenza di questo mondo: in un mondo dove le creature possono sbagliare per natura, la possibilità di riparare, anzi di annullare il malfatto è la conditio sine qua non per la Creazione.

Ma la Teshuvà, malamente tradotta “pentimento” dai gentili, va molto oltre il dispiacersi per i torti commessi: essa è uno stato d’animo perenne, un percorso, una strada da seguire giornalmente. Fare Teshuvà significa appunto rispondere quotidianamente alla chiamata del Signore, raffinare le proprie azioni e la propria anima cercando di tornare verso il Signore.

Shabbat è per eccellenza il giorno in cui ciò avviene perché è questo il giorno che dedichiamo allo studio, alla preghiera, ma anche alla sacralizzazione di quanto c’è di materiale, ad esempio il cibo ed il sesso. Shabbat è il giorno in cui ci la presenza di D-o è tangibile in ogni nostro gesto, nei nostri vestiti, sulla nostra tavola. Una sorta di Mondo Futuro in miniatura, “Meein Olam Abbà” appunto. Ma c’è anche chi lo chiama “Mayan Olam Abbà”, “la Fonte del Mondo Futuro”, invertendo i rapporti di dipendenza.

Lo scorso Shabbat abbiamo letto nella Parashà di Nizzavim “E tornerai fino al Signore tuo D-o” (Deuteronomio XXX, 2). La parola “veshavtà”, “e tornerai” è scritta in forma difettiva sicché si può leggere anche “VeShabbat”, “e Shabbat”. La chiave per il ritorno continuo è lo Shabbat. Per poter rispondere alla chiamata del Signore che vuole per noi qualche cosa di diverso dalla deificazione del denaro e dalla santificazione del lavoro di chi, incapace di affrontare le proprie responsabilità familiari, morali ed educative, trascura i figli e la Torà in nome del negozio piuttosto che dell’ufficio, è impossibile prescindere dalla scrupolosa osservanza dello Shabbat.

Intendiamoci, lavorare è giusto e sacrosanto, ma arriva un momento della settimana nel quale D-o, che non ha bisogno di riposo, ha serrato le saracinesche della sua bottega che noi chiamiamo Universo per permettere ad Israele di fermarsi un istante e fare Teshuvà.

Della portata dell’osservanza dello Shabbat sulla nostra fedina penale che viene discussa in questi giorni leggiamo:

“Ha detto Rabbì Chyà bar Abbà a nome di Rabbi Jochannan: ‘Chiunque osserva lo Shabbat secondo la Halachà, persino se è idolatra come nella generazione di Enosh, gli viene perdonato; come è detto ‘Felice l’uomo (Enosh) che fa questo [ed il figlio dell’uomo che persevera in questo: chi osserva lo Shabbat] sì da non profanarlo…’ (Isaia LVI, 2). Non leggere ‘sì da non profanarlo’ (mechallelo) ma [leggi] ‘gli viene perdonato’ (mechol-lo).’” (TB Shabbat 118b)

Lo Shabbat che contiene tutte le mizvot, pesa più dell’idolatria che racchiude tutte le trasgressioni.

Noi ci troviamo in un momento particolare dell’anno. Siamo infatti nei dieci giorni della Teshuvà che precedono il Sabato dei Sabati, il giorno di Kippur. Chiamiamo lo Shabbat che è compreso in questi dieci giorni “Shabbat Teshuvà”, il Sabato della Teshuvà. Di più, quest’anno come in altri anni la Parashà della settimana è Haazinu, la Cantica di Moshè che serve a scuotere ed a spingerci sulla via della Teshuvà.

Le porte della Teshuvà sono particolarmente aperte in questo periodo, è un momento buono per prendere decisioni importanti che ci portino più vicini a D-o ed alla sua Torà. L’osservanza dello Shabbat, una volta plebiscitario segno di appartenenza al popolo d’Israele, è purtroppo retaggio di pochi, troppo pochi figli d’Israele. Eppure lo Shabbat è un passo indispensabile nella strada verso Iddio.

Dice il Talmud (TB Shabbat 118b) che se Israele avesse osservato propriamente il suo primo Shabbat, nessuna nazione straniera, nemmeno Amalek, avrebbe potuto dominarlo.

Noi ci troviamo nel primo Shabbat dell’anno (se si esclude Rosh Hashanà) e ci ritroviamo nuovamente questa sfida di fronte.

Un invito a tutti noi allora a migliorarci proprio nell’osservanza dello Shabbat affinché Amalek, che rappresenta l’istinto del male e l’Angelo della Morte, rimanga zittito e non possa mettere bocca sul decreto che certamente ci iscriverà e ci suggellerà nel Libro della Vita e della Salvezza, Amen ken Yheì Razon.

Shabbat Shalom e Chatimà Tovà. Jonathan Pacifici

Per gentile concessione di Torah.it

http://www.archivio-torah.it/jonathan/5059.pdf

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