Le nostre feste – Shabbàt
Tratto da “La nostra storia, le nostre feste”, Dac 1981
Tratto da “La nostra storia, le nostre feste”, Dac 1981
Tratto da “Le basi dell’ebraismo” – Morashà, 2013
Il termine Havdalà significa separazione. È un breve rito che si compie al termine (“uscita”) dello shabbàt quando nel cielo notturno sono uscite almeno tre piccole stelle. Non si ha, né si deve mostrare premura nello staccarsi dallo shabbàt e riprendere le attività dei giorni feriali: per questo motivo l’orario di uscita dello shabbàt e di Yom Tov viene stabilito qualche minuto dopo l’uscita delle tre stelle.
Tratto da “Alef-Dac 4” – 1980
Rav Riccardo Di Segni
Soltanto in quest’epoca dominata dalla tecnologia il sabato impone un’alternativa che consente di non rimanere schiacciati dalle macchine e dalle produzioni dell’uomo, e di diventare padroni di sé recuperando la vera dimensione dell’essere. Ma lo Shabbàth dura 25 ore e, dopo, la vita normale ricomincia. Un rifiuto tanto radicale dell’uso della macchina, imposto dalla regola sabbatica, sembrerebbe contenere una condanna assoluta, un giudizio negativo tendente a condizionare tuta l’attività lavorativa. In realtà non è così, o almeno non in termini assoluti. Il problema però esiste e, quando il Sabato finisce e sta per iniziare un nuovo periodo di lavoro, si ripropone con maggiore insistenza. Con quale spirito ricominciare? Il rito dell’havdalàh e i suoi simboli rispondono con precisione a questi interrogativi.
Rav Roberto Colombo
Il testo della Havdalà
“Io, primo a Sion, annuncerò: eccoli qua. E darò a Gerusalemme un annunciatore”. Amén. “Non ti rallegrare, o nemico, della mia disgrazia. Se sono caduto mi alzerò; se siedo nelle tenebre Dio è luce per me”. “La luce è spuntata per il giusto e la gioia per i retti di cuore”.